
Diversi bruchi di Lepidotteri hanno sviluppato meccanismi di difesa contro i predatori: dai più semplici meccanismi comportamentali come il voltarsi bruscamente contro l’aggressore, alle strategie più raffinate come il bruco di Calindoea trifascialis, di cui ho parlato in un precedente articolo, che cosparge il proprio corpo di cianuro. Tra i meccanismi di difesa sono noti molti esempi in cui un bruco che si alimenta a spese di piante tossiche riesce a immagazzinarne gli alcaloidi diventando a sua volta tossico o comunque disgustoso a uno o più tipi di predatori. Il bruco della sfinge della Carolina (Manduca sexta), noto in America come “verme cornuto del tabacco”, come suggerisce il nome volgare si alimenta preferenzialmente di una pianta contenente un alcaloide tanto noto quanto tossico per buona parte delle specie animali: la nicotina. Le larve di Manduca sexta sono capaci di metabolizzare rapidamente la nicotina presente nelle foglie del tabacco selvatico (Nicotiana attenuata) grazie a un enzima della famiglia del citocromo P-450 (CYP6B46) presente nella saliva e utilizzato anche in altri animali per detossificare; il risultato è che questi bruchi possono tollerare concentrazioni di nicotina 100 volte superiori a quelle tollerabili da un essere umano e che sono comunque tra le poche specie di insetti tra quelle studiate a tollerare alte concentrazioni di questo alcaloide.

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Il ruolo difensivo in questa specie non sta nell’accumulo di nicotina nel corpo, dato che quest’ultima viene in buona parte convertita in un metabolita, ma nel fatto che il bruco di Manduca sexta è in grado di espellere la nicotina a scopo repellente per alcuni predatori, sempre grazie al sopracitato enzima che trasferisce una parte della nicotina assunta con l’alimentazione dalla saliva al flusso sanguigno e da qui alle trachee (gli organi respiratori degli insetti), per spingerla fuori attraverso gli spiracoli, meccanismo favorito dal fatto che la nicotina è un alcaloide molto volatile. In questo modo la concentrazione della nicotina nell’aria immediatamente circostantte il bruco sale a livelli fastidiosi per altri insetti che vi si avvicinino. Questo meccanismo difensivo è chiamato alitosi tossica.
Una dimostrazione di questo effetto difensivo è stata documentata con degli esperimenti – visibili nel video sottostante – condotti con il ragno lupo Camptocosa parallela, predatore naturale del bruco di Manduca sexta: se veniva offerto un bruco nutrito con una pianta contenente nicotina (o con un mangime artificiale addizionato con nicotina) il ragno, dopo essersi avvicinato, se ne allontanava bruscamente; venivano invece attaccati i bruchi nutriti con piante di tabacco geneticamente modificate in cui la sintesi di nicotina era inibita oppure con piante di altre specie che erano per loro natura prive di nicotina.
L’emissione di nicotina a scopo deterrente è dunque efficace con i ragni ma non necessariamente con altri predatori. Se si è visto che, sui bruchi che vivono a spese di piante di tabacco, le formiche riducono gli attacchi e che alcuni parassitoidi si sviluppano più difficilmente nel loro corpo, si è anche visto che insetti come le cimici e i formicaleone li predano cibandosene tranquillamente. Il bruco di Manduca sexta può affidarsi ad altri stratagemmi, come inarcare la porzione anteriore del corpo bruscamente, talora accennando un morso, e piegarla da un lato all’altro, talora anche rigurgitando liquido; i bruchi all’ultimo stadio possono anche produrre uno stridio sfregando tra loro le mandibole, talora prima o dopo aver rigurgitato: in tal caso si parla di aposematismo acustico, per definire l’emissione di un suono con funzione di avvertimento da parte del bruco della sua non commestibilità.

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© Foto: Merit Motion Pictures, Winnipeg, Manitoba, Canada
Un chiaro rapporto coevolutivo si è definito nel tempo tra la pianta di tabacco e il bruco di Manduca sexta: sembra che la pianta reagisca alle brucature da un lato aumentando la concentrazione dell’alcaloide nelle foglie e dall’altro liberando composti volatili che attirerebbero i predatori: questa formidabile strategia a difesa della pianta in realtà è innescata dal bruco stesso ed è stata dimostrata con le piccole cimici predatrici del genere Geocoris, che attaccano sia le uova che i bruchi ai primi stadi di questa sfinge. Il meccanismo in sintesi è il seguente: il bruco masticando le foglie mette in contatto la pianta con un enzima, contenuto nella propria saliva, che determina la conversione di parte degli isomeri Z, che insieme agli isomeri E rappresentano quei composti volatili responsabili dell’odore che si libera nell’aria quando la pianta viene danneggiata, in altri isomeri E. Se la pianta subisce un taglio con una forbice o vengono staccate foglie dal vento, vengono liberati principalmente isomeri di tipo Z. Ma se il danno è prodotto dai morsi del bruco di Manduca sexta, la quantità di isomeri di tipo E, per il meccanismo sopracitato, aumenta fino a eguagliare gli isomeri di tipo Z: sono proprio gli isomeri E che determinano l’attrattività da parte della pianta sulle cimici predatrici. E’ dunque il bruco stesso che causa un meccanismo a proprio svantaggio… ma nell’evoluzione è stato scelto il male minore: senza questo enzima nella propria saliva, il bruco non potrebbe neutralizzare molti microrganismi potenzialmente patogeni presenti nel tessuto fogliare della pianta.