La concezione che le farfalle vivano un solo giorno è un luogo comune ancora piuttosto diffuso, anche se lo stadio adulto di un Lepidottero (appunto lo stadio di farfalla) è spesso più breve degli stadi preimmaginali (bruco, crisalide).

Le farfalle diurne in generale e molte delle falene dotate di spiritromba funzionale investono il tempo a disposizione per nutrirsi, per incontrare il sesso opposto, per scegliere le piante adatte a deporre le loro uova: tale periodo di vita varia abbastanza, anche tra specie di una stessa famiglia: si passa da pochi giorni a un paio di settimane in famiglie come Papilionidi, Licenidi, Sfingidi, Nottuidi, Ninfalidi. Specie piuttosto longeve, fino ad alcuni mesi, le troviamo tra le grandi Caligo e Morpho, e le Heliconiinae: le Morpho e le Caligo prediligono come fonti alimentari la frutta matura o marcescente e c’è una correlazione tra il valore nutritivo di queste fonti e a loro maggiore longevità rispetto alle molte altre specie che si nutrono principalmente di nettare. Le Heliconiinae invece, grazie alla possibilità di utilizzare anche il polline dei fiori oltre che il nettare, introducono nella propria dieta proteine ed aminoacidi che consentono loro di estendere il loro periodo di vita: in particolare i nutrienti ricavati dal polline di alcune piante presenti nel loro areale di distribuzione consentono a queste specie di vivere sino a 6-8 mesi!

La farfalla monarca (Danaus plexippus) normalmente vive fino a qulche settimana ma la generazione che sfarfalla in autunno, che è rappresentata dagli individui che migrano nelle zone di svernamento, può vivere fino a 8 mesi.
Queste specie durante l’inverno riducono i propri costi energetici, anche in conseguenza di mutamenti ormonali come ad esempio la soppressione della secrezione di ormone giovanile responsabile della maturazione delle gonadi (che riprenderà al ritorno di condizioni climatiche favorevoli); l’alimentazione assente o ridotta al minimo consente loro di sopravvivere grazie alle grandi riserve di lipidi di cui queste specie, o più esattamente gli individui della generazione invernale, dispongono.
Molte famiglie di falene (ad esempio Saturnidi, Lasiocampidi, Limantridi, Notodontidi e qualche Sfingide) hanno un apparato boccale rudimentale o assente e le loro energie sono affidate alle riserve di lipidi accumulate durante lo stadio larvale; la loro vita si esaurisce entro una settimana o poco più. Per ottimizzare il poco tempo a disposizione queste specie hanno evoluto sistemi per velocizzare la fase riproduttiva: le femmine nascono già con le uova mature pronte per essere deposte dopo la fecondazione, l’incontro tra i due sessi è favorito dal riconoscimento, in genere da parte dei maschi, delle femmine della propria specie a lunga distanza tramite i feromoni, e le femmine tendono a deporre le uova spesso in modo generalizzato, su diversi substrati (la Lasiocampa quercus addirittura lascia cadere al suolo le proprie uova senza attaccarle alle superfici).

In diverse specie i maschi tendono ad avere una longevità un po’ ridotta rispetto alle femmine. Questo può essere spiegato col fatto che in queste specie maschi hanno consumi energetici più rapidi volando alla riceca delle femmine o, in alcuni casi, difendendo il territorio allontanando altri maschi etc. Le femmine invece hanno necessariamente evoluto una maggiore longevità perchè la maturazione delle uova e la ricerca della pianta ospite adatta sono processi che richiedono un certo tempo. Ci sono delle eccezioni: i maschi del Licenide Lysandra coridon ad esempio vivono leggermente di più delle femmine.
Nelle specie che allo stadio adulto hanno diapausa estiva, come il Ninfalide Brintesia circe, d’estate i maschi muoiono poco tempo dopo l’accoppiamento mentre le femmine sopravvivono due mesi in estivazione. Un simile fenomeno lo troviamo in alcune specie tropicali in concomitanza con la stagione secca.