L’accostamento della Sfinge testa di morto a messaggi sinistri si ripete periodicamente nella letteratura e nell’arte. Una farfalla davvero peculiare: i colori cupi, il disegno sul torace a ricordare la figura di un teschio umano e la capacità, in una modalità molto rara nel mondo dei Lepidotteri, di produrre uno stridio tramite il passaggio di aria attraverso la faringe, le conferiscono un’aria surreale che genera fascino e inquietudine allo stesso tempo. C’era da aspettarselo che i tassonomi le dessero un nome con una connotazione funebre: già Plinio il Vecchio, nel suo trattato naturalistico Naturalis historia (77 d.C.), la chiamava Papilio feralis (“farfalla portatrice di morte”). Il lepidotterologo tedesco J. H. Laspeyres, probabilmente traendo spunto da questa denominazione, chiamò Acherontia il genere che comprende le 3 specie di Sphingidae accomunate dal nome volgare di Sfinge testa di morto, riferendosi al fiume Acheronte, sul quale nella mitologia greco-romana il nocchiero Caronte traghettava i morti dal mondo terreno all’oltretomba. Acherontia styx, una delle due specie Asiatiche, trae il suo nome (datole dall’entomologo Westwood nel 1847) dallo Stige, un altro fiume infernale nella mitologia greco-romana. Le specie Acherontia lachesis (Fabricus, 1798) e Acherontia atropos (Linneo, 1758), rispettivamente dell’Asia orientale e dell’area euro-africana, traggono i nomi da Lachesi e Atropo, due delle tre parche (o Moire nella mitologia greca), le divinità che determinavano il destino degli uomini tramite il filo della vita da loro tessuto, stabilendo quando ciascuna vita sarebbe stata interrotta e per quale causa.
Non passò molto tempo prima che scrittori e registi utilizzassero la figura della Sfinge testa di morto in determinate opere, principalmente, manco a dirlo, con un ruolo di messaggera di morte e di sciagure.
Così Thomas Harris descrive la Sfinge nel suo celebre romanzo “Il silenzio degli innocenti“:
“La falena era meravigliosa e terribile. Le grandi ali bruno-nere erano drappeggiate come un mantello e sull’ampio dorso lanuginoso spiccava il simbolo che ha sempre ispirato timore agli uomini, da quando hanno incominciato a incontrarla all’improvviso nei loro giardini. Il teschio a cupola, il teschio che è nel contempo cranio e volto, gli occhi scuri, gli zigomi, l’arco zigomatico tracciato in modo perfetto accanto agli occhi.”
A proposito del racconto di Thomas Harris, voglio soffermarmi su un paio di cose riguardanti il film che ne fu tratto nel 1991, diretto da Jonathan Demme.
Se guardate bene il “teschio” della sfinge nella locandina del film Il silenzio degli innocenti, noterete che il teschio disegnato sul torace della Sfinge è una riproduzione della figura a teschio che appare nel celebre ritratto In voluptas mors dell’artista Salvador Dalì, realizzato da Philippe Halsman (ispirato da una pittura dello stesso Dalì), e costituita da sette donne nude. Si tratta chiaramente di un tributo del regista all’artista spagnolo che, molti anni prima, aveva ripreso una Sfinge testa di morto nel folle cortometraggio Un chien andalou (“Un cane andaluso”), prodotto e interpretato nel 1921 dallo stesso Dalì insieme a Luis Buñuel.
In questo film, che probabilmente fu fonte di ispirazione per David Lynch (guardandolo ho pensato subito al visionario Eraserhead del 1977), compare appunto una sfinge testa di morto in brevi sequenze, e pare che Dalì avesse tratto ispirazione da un dipinto del pittore preraffaellita William Holman Hunt (The hireling shepherd – Il mercenario pastore – 1851), in cui un pastore, disinteressatosi del suo gregge, cinge con il braccio la spalla di una fanciulla mentre le mostra un’Acherontia che tiene in mano: forse un riferimento al dualismo eros-thanatos, ad ogni modo un’opera molto dibattuta all’epoca in Inghilterra e oggetto di interpretazioni contrastanti.
Altri film, guarda caso di genere thriller-horror, in qualche modo hanno tratto ispirazione dalla nostra falena teschiuta, come Il mostro di sangue (1968) di Vernon Sewell e The mothman propecies (2002) di Mark Pellington.
Ma torniamo a parlare del film di Jonathan Demme: di sfingi testa di morto, nel film, non ce ne sta neanche una. Mi spiego meglio partendo con due fermi immagine sottostanti che ho estratto dal film in scene diverse:
Consideriamo la scena (riquadro a sinistra) in cui viene estratta dalla gola di una vittima quella che, poco piu’ avanti nel film (riquadro a destra), verrà identificata come una crisalide di Acherontia styx: in realtà quella che viene estratta è una pupa di Manduca sexta (Sfinge del tabacco), riconoscibile per l’enorme astuccio della spiritromba, totalmente assente nella cuticola pupale delle Acherontia; del resto le sfingi che si vedono in volo, se guardate bene, sono esemplari di Manduca sexta. Ma allora quella crisalide nella scena della dissezione (riquadro a destra), che svela il “teschio” sotto la cuticola? Ce lo spiega direttamente Ray Mendez, l’entomologo che si è occupato delle farfalle nel film, e che ha risposto gentilmente ad alcuni miei quesiti via e-mail, di cui riporto qui sotto la traduzione.
MARIO: ho letto che avevate utilizzato un’unghia artificiale su cui era stato dipinto un teschio, su almeno una delle Manduca sexta che si vedono volare nel film e forse anche su quella che si posa in una delle scene finali nella stanza di Mr. Gumb [foto qui a sinistra]…
RAY: esatto, abbiamo usato unghie finte e una colla molto flessibile per incollare l’unghia così preparata al torace della falena, sul punto in cui erano state delicatamente rimosse le squame; questo trattamento non fu nocivo alle falene che, anche dopo essere state “truccate”, continuavano ad accoppiarsi e a deporre uova.
MARIO: che mi dici della crisalide dissezionata da Roden (Dan Butler)? E’ una pupa di Acherontia oppure, anche in questo caso, una Manduca sexta con un falso teschio posizionato sotto una finta cuticola supplementare (per quanto la scena della dissezione appaia estremamente realistica)?
RAY: quelle crisalidi erano delle repliche fedeli di quelle vere, realizzate interamente in materiale sintetico, quello stesso materiale di cui sono fatte le capsule di gelatina. All’interno c’era un tubetto che mi permetteva di far salire un lubrificante con diverse sostanze per mimare il “sangue” della crisalide. Nel momento in cui l’attore tagliava la crisalide io applicavo sufficiente pressione per farla “sanguinare”. La scena successiva riprendeva un altro modellino con la finta unghia dipinta posizionata sotto un rivestimento incollato. Mi fa piacere che tu abbia apprezzato il realismo, ci ho lavorato su parecchio per fare sembrare la scena perfetta.
MARIO: come mai non erano disponibili Sfingi testa di morto? Per il troppo freddo (durante il trasporto, o anche sul set…) e/o per l’impossibilità di importare quella specie in quella stagione?
RAY: l’unico posto da cui potevamo procurarle in quantità era in Inghilterra ma è stato un grosso problema farle arrivare da lì vive. Poi ho trovato un laboratorio nel South Carolina che poteva allevare per me individui [di Manduca sexta] in gran numero. Ogni settimana gli esemplari venivano trasportati in una speciale camera provvista di luci permanenti, in modo che loro non volassero durante il trasporto. Non credo che oggi si possa fare una cosa del genere con tutte le leggi restrittive [riguardo l’importazione] che ci sono adesso.
Torniamo alla letteratura. Così come Jonathan Demme non fu il primo a utilizzare la figura della Sfinge testa di morto in un film, Thomas Harris non fu il primo a menzionare la Sfinge testa di morto in un racconto.
Ne “La sfinge” (1846) di Edgar Allan Poe, la comparsa di una Sfinge testa di morto crea una situazione inquietante e surreale:
“Ma la peculiarità principale di questa cosa orribile, era la raffigurazione di una Testa di Morto, che copriva quasi interamente la superficie del suo petto, e che era tracciata con precisione in uno scintillante color bianco sul fondo nero del corpo, come se fosse stata disegnata con grande cura da un artista. Mentre guardavo il terrificante animale e più specialmente l’immagine sul suo petto, con un senso di orrore e di timore – misti a una sensazione di sciagura incombente, che mi riusciva impossibile colmare malgrado ogni sforzo della ragione, vidi le enormi mascelle all’estremità della proboscide, spalancarsi all’improvviso; ne usci un suono così forte e pauroso, che colpì i miei nervi come un rintocco funebre.”
Nella novella horror I’m the king of the castle (1970) di Susan Hill (l’autrice britannica del racconto The woman in black da cui è stato tratto l’omonimo film nel 2012), è menzionata una sfinge testa di morto in una bacheca entomologica che va in polvere non appena viene toccata.
Bram Stoker nel suo Dracula (1897) accenna a Sfingi testa di morto date in pasto dal Vampiro al suo fido discepolo Renfield:
“… e la notte grosse farfalle, con teschi e ossa incrociate sul dorso”.
Van Helsing annuì verso di lui, mentre mi bisbigliava inconsciamente:
“La Acherontia atropos delle Sfingi, quella che voi chiamate ‘la falena testa di morto’?…”
John Keats, uno dei piu’ famosi poeti del Romanticismo inglese, nella sua Ode alla malinconia (1819), scrive:
“No, il tuo rosario non fare con le bacche del tasso,
né la tua lamentosa Psiche siano lo scarabeo o la falena della morte”
Guido Gozzano, il poeta crepuscolare per antonomasia, che non nascondeva la sua passione per l’Entomologia, cita piu’ volte l’Acherontia atropos nelle sue opere, in particolare nella sua poesia piu’ celebre, La signorina felicità ovvero la felicità (da “I collloqui”, 1911):
« Tacqui. Scorgevo un atropo soletto
e prigioniero. Stavasi in riposo
alla parete: il segno spaventoso
chiuso tra l’ali ripiegate a tetto.
Come lo vellicai sul corsaletto
si librò con un ronzo lamentoso.
“Che ronzo triste!” – “È la Marchesa in pianto…
La Dannata sarà che porta pena…”
Nulla s’udiva che la sfinge in pena. »
Tornando a tempi recenti, lo scrittore José Saramago utilizza l’immagine di una Sfinge testa di morto nella copertina del suo romanzo “Le intermittenze della morte” (2005), in cui immagina quello che potrebbe succedere se la Signora Morte decidesse di prendersi una pausa.
Infine, a proposito di copertine, la band black metal giapponese Sith inserisce la figura del torace di una sfinge testa di morto nella copertina dell’album Hail Horror Hail (1997).